IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DI TRENTO (Sezione Unica) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 136 del 2013, proposto da: M.E., rappresentato e difeso dall'avv. Filippo Fedrizzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via Roggia Grande n. 16; Contro il questore di Trento, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Trento, largo Porta Nuova n. 9; Per l'annullamento del decreto del questore della provincia di Trento cat. A.11.2013/50/IMM. di data 10 aprile 2013 con il quale veniva rigettata l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo con la seguente motivazione «Considerato che in data 4 dicembre 2012 il tribunale di Trento ha emesso sentenza di condanna in violazione della legge sugli stupefacenti», nonche' di tutti gli atti antecedenti, conseguenti e comunque logicamente connessi al detto provvedimento. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di questore del Trento; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2014 il pres. Armando Pozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; A] Avverso il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo il ricorrente, premesso di trovarsi in Italia da anni con la sua famiglia e di essere stato in possesso del permesso di soggiorno per motivi di famiglia scaduto il 16 dicembre 2012, deduce i seguenti motivi: 1) Carenza di motivazione in punto «applicazione analogica al caso di specie dei principi di cui alla sentenza n. 172 del 2 luglio 2012 della Corte costituzionale». Il ricorrente e' stato condannato a seguito di patteggiamento per non grave delitto di cui al comma V dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, quindi per un reato che non apparteneva al novera dei reati di cui all'art. 380 del codice di procedura penale (per quali e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza). L'amministrazione avrebbe dovuto, dunque, applicare i principi stabiliti dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 172 del 2 luglio 2012, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c) del decreto-legge n. 78/2009 (introdotto dalla legge di conversione n. 102/2009), nella parte in cui faceva derivare automaticamente il rigetto dell'istanza di regolarizzazione del lavoratore extra comunitario dalla pronuncia di una sentenza di condanna per uno dei reati (com'e' quello relativo al ricorrente) meno gravi, come ad esempio quelli di cui all'art. 381 del codice di procedura penale, ai quali pure il nostro appartiene. 2) Violazione dell'art. 5, comma 5 del decreto legislativo n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002. Eccesso di potere per erroneita' dei presupposti, per assoluta carenza o, quantomeno, insufficienza della motivazione. Difetto di istruttoria. Anche a volerne ammettere l'applicabilita', il principio dell'automatismo vale con riferimento alla situazione dello straniero quando sono «venuti a mancare i requisiti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato», ma non vale con riferimento al momento (successivo) in cui deve essere valutata la sua istanza di rinnovo, perche' qui e' la legge a prevedere espressamente che si debbano prendere in considerazione gli eventuali «nuovi elementi che ne consentano il rilascio», ed in particolare i vincoli familiari, la durata del soggiorno dell'interessato sul territorio nazionale e, soprattutto, l'attivita' commerciale autonoma intrapresa dopo la sentenza di condanna. Di qui, la denunciata violazione, da parte del provvedimento di diniego della questura di Trento, dell'art. 5, comma 5 del decreto legislativo n. 286/1998 e dei profili di eccesso di potere indicati in rubrica. B] Si e' costituita in giudizio l'amministrazione per contestare la fondatezza del ricorso. C] Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2014 la causa e' stata trattenuta in decisione. 1. - Come gia' esposto in fatto, il diniego del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo e' fondato sulla circostanza della condanna penale riportata dal ricorrente per violazione dell'art. 73, comma 5, del testo unico sugli stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (in prosieguo anche TUIMM). Con il primo motivo di ricorso si lamenta la mancata estensione in via analogica in sede amministrativa, al caso di specie, dei principi enucleati, sulla specifica materia in esame, dalla Corte costituzionale con sentenza n. 172/2012, o, in subordine, come rilevato nella successiva memoria depositata in data 11 novembre 2013, nella questione di legittimita' costituzionale, ex art. 3 Cost. dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 286/1998, per l'irragionevolmente identico trattamento «espulsivo» applicato da tale norma sia agli stranieri condannati per reati per i quali e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, sia a quelli condannati per reati assai meno gravi, per i quali l'arresto in flagranza di reato e' soltanto facoltativo. 2. - Il collegio non ritiene di aderire ad un recente orientamento di alcuni giudici amministrativi di primo grado, che hanno ritenuto di poter applicare «analogicamente» alle norme qui in esame gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 172/2012: per tutti, bastera' ricordare TAR Toscana n. 1979/2012; TAR Lombardia - Brescia, n. 489/2013, n. 115/2013 e n. 434/2012; TAR Lombardia - Milano, n. 2604/2012; TAR Marche n. 266/2013. Si tratta di orientamento non univoco e diffuso, tale da poter essere considerato «diritto vivente»: ad esso, infatti, non aderisce altro insegnamento di segno opposto: Cons. St., n. 2225/2013; TAR Umbria, n. 350/2012. 3. - Il collegio rileva, infatti, che dalla sentenza della Corte e' derivata, con i soli effetti propri dell'art. 136 Cost. e della prima parte dell'art. 27 della legge n. 87/1953, la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c) del decreto-legge n. 78/2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 102/2009, concernendo dunque il solo profilo della regolarizzazione lavorativa del cittadino extracomunitario che presta attivita' lavorativa, sia pur irregolare, nel mentre non viene investita la normativa dettata dal legislatore in materia di rinnovo in via ordinaria del permesso di soggiorno, oggetto del presente giudizio. Stante la diversita' dei contesti normativi in cui, rispettivamente, si e' mossa la sentenza della Corte n. 172 ed in cui si colloca la presente vicenda, non appare, dunque, corretto, alla luce dell'art. 27 della legge n. 87/1953, ritenere la possibilita' del giudice di merito di ricorrere all'interpretazione estensiva o all'applicazione analogica di principi elaborati in sede dichiarativa della illegittimita' di una specifica norma, al fine di incidere, in tal maniera, su una disposizione del TUIMM n. 286/1998, la cui vigenza e' tutt'ora sussistente in termini tali da regolare in via esclusiva, allo stato, la fattispecie qui in esame. La ricordata sentenza n. 172 - come essa stessa ha voluto rimarcare - si riferisce ad una legislazione emergenziale (art. 1-ter del decreto-legge n. 78/2009) riferita ai «soli stranieri extracomunitari i quali da un tempo ritenuto dal legislatore apprezzabile svolgevano, sia pure in una situazione di irregolarita', attivita' di assistenza in favore del datore di lavoro o di componenti della famiglia del predetto, ancorche' non conviventi, affetti da patologie o disabilita' che ne limitano l'autosufficienza, ovvero attivita' di lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare». Si tratta di legislazione particolare per occasio, ratio e destinatari, che non ne consente l'assimilabilita' tout court all'art. 5, comma 5 del TUIMM. Il decreto-legge del 2009 - ha rilevato la Corte - e' stato emanato in favore di quanti sono affetti da patologie o disabilita' che ne limitano l'autosufficienza, in relazione ai quali il meccanismo dell'automatismo espulsivo di chi presta assistenza «rischia di pregiudicare irragionevolmente gli interessi di questi ultimi», essendo notorio il legame peculiare e forte con chi ha bisogno di assistenza costante e chi la presta; legame che, quindi, puo' essere leso da un diniego disposto in difetto di ogni valutazione in ordine alla effettiva imprescindibilita' e proporzionalita' dello stesso rispetto all'esigenza di garantire l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (cfr. punto 7,2. della motivazione). 4. - D'altra parte, il contrasto fra gli opposti orientamenti giurisprudenziali espressi dai giudici amministrativi, rispettivamente a favore e contro il ricorso all'analogia sul profilo in questione, rappresenta ulteriore elemento, quanto meno, della «problematicita'» di detta operazione logico-giuridica. 5. - Vale, altresi', valorizzare la circostanza - ai fini della rilevanza dei profili di costituzionalita' del TUIMM in parte qua - la affermazione, peraltro solo accennata nelle premesse del decreto del questore di Trento, per cui si denoterebbe, nel comportamento assunto dal ricorrente, la mancanza di rispetto delle regole del paese ospitante. Si tratta di affermazione non denotante alcuna autonoma valutazione sulla pericolosita' del ricorrente, non solo per la sua genericita', quanto perche' l'autorita' di pubblica sicurezza avrebbe comunque tratto un'ipotetica «valutazione» autonoma, in via del tutto apodittica ed esclusiva, dal lapidario riscontro di una sentenza di condanna penale, senza alcun esame di eventuali profili diversi dalla commissione del reato, autonomamente rivelatori della pericolosita', o meno, del ricorrente: personalita' del soggetto, circostanze, modalita' e gravita' del fatto contestato, esistenza o meno di rilevanti precedenti, ecc. 6. - In conclusione, nel caso di specie, la condanna inflitta al ricorrente dal giudice penale risulta preclusiva ai fini della concessione del rinnovo del permesso di soggiorno, pur dovendosi ricondurre la stessa condanna alle meno gravi ipotesi di arresto facoltativo di cui all'art. 381 e non a quelle piu' gravi di arresto obbligatorio, di cui all'art. 380 del codice di procedura penale. Detta preclusione opera legislativamente in maniera automatica, come prevedono gli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998, in quanto derivante da condanna «per reati inerenti gli stupefacenti», senza che residuino margini valutativi discrezionali in capo alla pubblica amministrazione. 7. - In conseguenza di quanto precede il ricorso andrebbe respinto, rivelandosi infondato anche il secondo motivo, con il quale si e' lamentata la mancata considerazione di nuovi elementi ostativi al diniego di rilascio o rinnovo, cui fa riferimento l'art. 5 del TUIMM. Anzitutto, e' da escludere, nel caso di specie, la rilevanza e la significativita' degli asseriti legami personali evidenziati dal ricorrente che, in assenza di un dimostrato e stabile rapporto affettivo ed in assenza di figli, non puo' avvalersi della «tutela rafforzata» di cui alla seconda parte dell'art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998. Su tale tematica la stessa Corte costituzionale ha osservato che la situazione familiare rilevante per lo straniero ai fini della sua permanenza in Italia e' quella riferita alla durata del suo matrimonio ed altri fattori che testimonino l'effettivita' di una vita familiare in seno alla coppia; la situazione familiare e', dunque, quella ricavata da una definizione ristretta di famiglia, non dissimile da quella concepita nella nostra Costituzione (C, cost. 18 luglio 2013, n. 202). 8. - Quanto al profilo, dedotto sempre nel secondo motivo, dell'intervenuta attivita' commerciale intrapresa dal ricorrente, va osservato che il reperimento di un'occupazione lavorativa non possa costituire quei sopravvenire di «nuovi elementi», come astrattamente previsti nella prima parte dell'art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998, idonei a cancellare di per se' gli effetti della riportata sentenza penale di condanna, proprio perche' a quest'ultima, nell'attuale sistema legislativo vigente in tema di immigrazione, consegue direttamente l'automatico diniego della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno. 9. - A questo punto, si rivela pregnante il profilo di incostituzionalita' prospettato con ricorso e sviluppato in memoria. Ove tale profilo fosse accolto, infatti, verrebbe meno il meccanismo di automaticita' tra condanna e diniego di rilascio o rinnovo, in base al quale l'amministrazione ha adottato l'atto impugnato. 10. - Assume, pertanto, rilevanza la questione di costituzionalita' degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998, con riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui le predette disposizioni riconnettono automaticamente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno alla condanna penale (compresa quella adottata ex art. 444 del codice di procedura penale) anche per categorie reati (quelli previsti dall'art. 4, comma 3 cit. in aggiunta a quelli di cui all'art. 380 del codice di procedura penale) di minore gravita', per i quali, infatti, e' previsto l'arresto facoltativo in flagranza, ex art. 381 del codice di procedura penale. La violazione del parametro costituzionale di uguaglianza consisterebbe nell'equiparazione, per i pari effetti in senso lato «espulsivi», delle sentenze di condanna per reati rientranti, quanto a pena edittale prevista dal codice sostanziale e conseguente facolta' di arresto in flagranza, nell'art. 381 del codice di procedura penale, comma 1 (reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, per delitto colposo), con quelle riportate per reati piu' gravi, in cui l'arresto in flagranza e' previsto come obbligatorio ex art. 380 stesso codice, senza al contempo imporre alla pubblica amministrazione l'obbligo di valutare in concreto, con adeguata, esaustiva e convincente motivazione, la pericolosita' sociale del cittadino extracomunitario, con riguardo ad una sua condizione complessiva, che non si esaurisca direttamente nel dato penale, ma innesti quest'ultimo su altre circostanze «compensative»: il reale e documentato ravvedimento, l'esistenza di un coniuge e della prole, l'inserimento nella vita economica e sociale, l'apprezzamento della collettivita' di inserimento, ecc. 11. - I rilevati profili di irrazionale disparita' di trattamento emergono dalle stesse circostanze del caso concreto, il quale, oltretutto, lungi dal costituire una fattispecie del tutto singolare ed isolata, e' rappresentativo di una problematica estesa ad una non esigua casistica, traducendosi, dunque, in un effettivo profilo di giustizia sostanziale e sociale. 12. - Va, infatti, osservato che nella specie il giudice penale ha pronunciato la sentenza di condanna per violazione dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (testo unico sugli stupefacenti e sostanze psicotrope), applicando il comma 5 della stessa norma, come riconosciuto dalla stessa memoria dell'avvocatura erariale depositata il 15 gennaio 2014. Va rammentato, al riguardo, che il primo comma dell'art. 73 citato punisce, con giusta durezza, la produzione, il traffico e la detenzione di sostanze stupefacenti, prevedendo la pena della reclusione da sei a venti anni e la multa da euro 26.000 ad euro 260.000. Il quinto comma, a sua volta, stabilisce che, quando per i mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti previsti dal medesimo articolo sono di lieve entita', si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 ad euro 6.000. 13. - Va ulteriormente osservato che la disposizione di minor rigore sopra richiamata non costituisce un mero «indice» per la eventuale concessione delle attenuanti generiche, ma stabilisce, in misura significativamente inferiore, nel minimo e nel massimo, una distinta ed autonoma pena edittale. 14. - Il divario sopra evidenziato - con la conseguente diversita' di giudizi di disvalore sociale - tra distinte ipotesi di reato pur astrattamente riconducibili al medesimo interesse da tutelare (contrasto all'uso e diffusione di stupefacenti) risulta peraltro confermato con il recentissimo decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 («Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria»). Con tale intervento d'urgenza, stabilizzato con legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, il legislatore e' nuovamente intervenuto, con l'art. 2, nella disciplina penale degli stupefacenti, modificando il sopra citato comma 5 dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e stabilendo, nelle ipotesi di lieve entita', una nuova, inferiore previsione del massimo della pena edittale (5 anni), talche' detta disposizione pare accentuare il «distacco» legislativo (gia' visibilmente sussistente in precedenza) rispetto alle ipotesi in cui, diversamente, la reazione penale permane in termini ben piu' gravi (pena edittale minima pari a sei anni). Distacco, che lo stesso legislatore penale evidenzia laddove, tra i reati comportanti l'arresto obbligatorio in flagranza, annovera espressamente i delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti dall'art. 73 del testo unico n. 309, «salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo» (secondo comma, lettera h), art. 380 del codice di procedura penale). 15. - Non pare superfluo ricordare, ancora, che la disciplina penale sugli stupefacenti ha subito un ulteriore intervento divaricatore per effetto della recente sentenza della Corte costituzionale 12 febbraio 2014, n. 32, con la quale - dichiarandosi l'illegittimita' costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, che aveva tra l'altro novellato l'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 - e' stata abrogata la parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette «pesanti» e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette «leggere», fattispecie che invece erano tenute differenziate dalla precedente disciplina. E' pur vero che la dichiarazione di incostituzionalita' ha riguardato la disomogeneita' tra testo del decreto ed emendamenti apportati in sede di conversione: quindi un aspetto formale, attinente solo il procedimento di formazione delle leggi. Tuttavia, la Corte non ha mancato di rimarcare come una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost., invece di quelle semplificate ed accelerate dell'art. 77. Cio' sta ad evidenziare, sotto ulteriore profilo, la complessita' e disomogeneita' della materia stupefacenti, tendenzialmente non tollerante un unico, preconcetto ed indifferenziato giudizio di disvalore per tutti i fatti e sostanze rientranti in quella materia. 16. - Per quanto attiene il caso di specie, il GUP di Trento, con sentenza n. 860/2012, ha riconosciuto la sussistenza del «fatto lieve», oltre ad applicare le circostanze attenuanti e a valutare positivamente la sussistenza dei requisiti richiesti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in relazione alla rilevata «minima offensivita'» del reato, deducibile dai dati qualitativi e quantitativi e dagli altri parametri di valutazione dell'acquisto e smercio di hashish (v. «motivazione» sentenza citata). 17. - Cio' posto, passando alla disamina della normativa che regola il diniego del rilascio, o del rinnovo, del permesso di soggiorno dei cittadini extracomunitari, va rilevato che nessuna differenziazione viene operata dal legislatore, in materia di reati inerenti gli stupefacenti, fra le sentenze di condanna penale pronunciate in forza dell'art. 73, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, e quelle inflitte «per fatti di lieve entita'» in applicazione del quinto comma della stessa norma. Di conseguenza, neppure e' posta, dalla norma, alcuna distinzione fra i reati che rendono obbligatorio l'arresto in flagranza (art. 380 del codice di procedura penale) e quelli che ne ammettono la mera facoltativita', in presenza dei previsti presupposti (art. 381 stesso codice di rito). Infatti, la disciplina legislativa inerente al diniego di rinnovo del permesso di soggiorno risulta indifferenziatamente riferita a categorie di reato come delineate, e spesso appena «abbozzate» (nel caso di specie: «reati inerenti gli stupefacenti»), nella seconda parte del comma 3 dell'art. 4 del TUIMM n. 286/1998, con contestuale ed automatico collegamento indistinto, alle stesse categorie, dell'identico effetto espulsivo del cittadino extracomunitario. 18. - D'altra parte, la disciplina sul diniego del permesso di soggiorno (art. 4, comma 3, del testo unico sull'immigrazione citato) richiama in maniera vincolante le categorie e le definizioni giuridiche prefissate dal legislatore penale, le quali, pertanto, assumono il carattere di presupposto indispensabile ai fini dell'applicazione e dell'interpretazione della disciplina «espulsiva» prevista dal decreto legislativo n. 286/1998. Allora, e' proprio questo legame indissolubile che lega norma penale e norma amministrativa a rendere quest'ultima intimamente incoerente ed irrazionale. 19. - In effetti, il testo unico sull'immigrazione assoggetta ad una unitaria ed indistinta disciplina «espulsiva» figure di reato oggettivamente e soggettivamente diverse, caratterizzate, internamente, da una ben differente qualificazione e graduazione giuridica, da ritenersi, a propria volta, non casuale ma riflesso di una ponderata scelta legislativa inerente la valutazione della distinta gravita' dei fatti e della pericolosita' sociale del loro autore. 20. - Non puo', pertanto, non cogliersi, dalla predetta correlazione tra ordinamento penale ed amministrativo, una stridente contraddizione all'interno del secondo; contraddizione a scalzare la quale non pare al collegio sufficiente invocare le diverse finalita' perseguite dal legislatore penale e da quello amministrativo, sembrando preminente, viceversa, assicurare un complessivo quadro normativo armonico e non disomogeneo, ispirato ai principi di non contraddittorieta', coerenza, ragionevolezza e congruita'. 21. - Peraltro, in tale ambito, il richiamo alle norme penali contenuto nel testo unico sull'immigrazione, non pare neppure poter prescindere dal «diritto vivente», creato dal giudice attraverso la concreta applicazione delle norme penali, sostanziali e processuali, alle singole fattispecie concrete. In particolare, va rilevato che se tale diritto vivente pone su una scala di disvalori ben differenziati le diverse ipotesi di violazione delle disposizioni sugli stupefacenti, appare contraddittorio che la normativa sull'immigrazione debba prescinderne del tutto attraverso il criterio dell'automatismo espulsivo; al contempo, appare altresi' illogico e discriminatorio che la pubblica amministrazione, chiamata a valutare e delibare l'istanza di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, non possa a propria volta tener conto di quella stessa e graduata scala di valori (rectius: disvalori) di riferimento. 22. - Viene dunque in evidenza, ai fini dell'odierna rimessione alla Corte, la comparazione delle norme legislative vigenti in tema di permesso di soggiorno con l'art. 3 del dettato costituzionale e dell'inerente principio di uguaglianza e ragionevolezza. 23. - In materia di immigrazione ed in relazione all'art. 3 Cost., la Corte ha rammentato che la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale e' collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanita' pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione. Tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede, in materia, un'ampia discrezionalita', limitata, sotto il profilo della conformita' a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli (sentenze 16 maggio 2008, n. 148; n. 206/2006 e n. 62/1994). 24. - Non difforme appare l'insegnamento proveniente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale ha precisato, nell'ambito del bilanciamento tra sicurezza/ordine pubblico e diritti dello straniero, che l'ingerenza dello Stato deve non solo avere a riferimento una base legale ed uno scopo legittimo, ma anche essere necessaria in una societa' democratica, vale a dire giustificata da un bisogno sociale imperativo e dalla proporzionalita' rispetto allo scopo perseguito (Dalla c. Francia, sentenza 19 febbraio 1998; Maslov c. Austria, sentenza 23 giugno 2008). 25. - Peraltro, e' stato pure affermato che l'automatismo espulsivo, riflesso della pur riconosciuta discrezionalita' legislativa, e' destinato ad incontrare i limiti segnati dai precetti costituzionali e, per essere in armonia con l'art. 3 Cost., occorre che esso sia conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza (Corte cost., n. 206/2006 e n. 62/1994). 26. - E' derivata, quale coronario, l'affermazione del principio secondo cui le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono irragionevoli e percio' arbitrarie, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generali riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit; la presunzione assoluta e' irragionevole tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali diffusi, contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione (Corte cost., n. 231 e 164/2011; n. 265 e 139/2010). 27. - Il collegio, certo, non ignora che, con sentenza n. 148/2008 (peraltro gia' sopra richiamata), la stessa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni del TUIMM in esame, in relazione al diniego al rinnovo del permesso, operato dall'amministrazione nei confronti di un cittadino extracomunitario che risultava condannato, sia pur a seguito di patteggiamento e con sospensione condizionale della pena, per un reato in materia di stupefacenti ex art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, benche' non risultasse operata, in concreto, alcuna valutazione circa la pericolosita' del condannato. Tuttavia, preme rilevare che, successivamente, e' venuta ad affermarsi, in generale, l'esigenza di una tutela «rafforzata» dello «statuto» del soggetto extracomunitario (sentenza n. 202 del 18 luglio 2013). Con la stessa pronuncia, al contempo, si e' provveduto ad un ulteriore e significativo approfondimento in ordine alla valenza delle presunzioni assolute e generalizzate fissate dal legislatore in tema di pericolosita', delimitando e contenendo il predetto automatismo in termini di ragionevolezza costituzionale, e coordinando le norme dettate dal legislatore in materia di immigrazione con l'inquadramento e le differenziazioni stabilite dal legislatore in materia penale. E' dunque nel solco di tale linea evolutiva che si colloca la ricordata sentenza n. 172 del 6 luglio 2012, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato, sempre in riferimento all'art. 3, la illegittimita' dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c), del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, il quale disponeva che non potessero essere ammessi alla procedura di emersione da rapporti irregolari, prevista da detta disposizione, i lavoratori extracomunitari che risultavano condannati per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale. La Corte, comparando detta disposizione con il principio di uguaglianza fissato nell'art. 3, e' pervenuta ad affermare l'irragionevolezza della norma, in quanto il diniego conseguiva in via diretta e necessaria dalla pronuncia di una sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all'art. 381 del codice di procedura penale, nonostante questi ultimi non siano necessariamente sintomatici della pericolosita' di colui che li ha commessi, senza prevedere che la pubblica amministrazione provvedesse ad accertare in concreto - e nel rispetto dei canoni di legittimita' dell'azione amministrativa - che la persona rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. In tale ambito, la Corte ha significativamente rilevato che, essendo possibile procedere per detti reati all'arresto in flagranza soltanto se la misura e' giustificata dalla gravita' dell'accadimento, ovvero dalla pericolosita' del soggetto desunta dalla sua personalita' o dalle circostanze del fatto (art. 381, comma 4, del codice di procedura penale), e' gia' l'applicabilita' di detta misura ad essere subordinata ad una specifica valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione del fatto. 28. - Il collegio rileva che detti principi, ferma - come gia' detto - la non applicabilita' degli stessi in via analogica alle diverse disposizioni del TUIMM qui in esame e, dunque, al caso di specie, evidenzia, in termini di non manifesta infondatezza, profili di illegittimita' costituzionale anche delle norme di cui agli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui, anch'esse, riconnettono automaticamente alla condanna penale, riportata per uno dei reati rientranti nelle previsioni dell'art. 381 del codice di procedura penale, il diniego di rinnovo del pregresso permesso di soggiorno, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il cittadino extracomunitario rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Pare evidente, infatti, che i principi stabiliti nella predetta sentenza n. 172/ 2012 appaiono riferibili anche alle norme che regolano il rinnovo del permesso di soggiorno, nella parte in cui queste prevedono il diniego automatico in mera presenza di condanne penali riportate dal cittadino extracomunitario anche per reati esclusi dal novero di quelli per i quali (art. 380 del codice di procedura penale) il legislatore prescrive l'arresto obbligatorio. 29. - I riportati principi sono calzanti anche per i reati concernenti le sostanze stupefacenti. Anche detta materia, infatti, e' espressamente assoggettata alla differenziazione fissata dal legislatore penale negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, e cio', anche in forza di una specifica disposizione del TUIMM (art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990). Peraltro, la riferibilita' dei principi fissati nella citata sentenza della Corte alle pur diverse norme qui considerate, trova ulteriore conferma nel rilievo, secondo cui il rinnovo del permesso di soggiorno e' destinato a trovare applicazione nei confronti di un cittadino extracomunitario gia' legittimamente presente nel territorio nazionale anche da un non esiguo periodo di tempo, similmente, dunque, alla condizione in cui detto cittadino si trovi all'atto della richiesta di emersione e regolarizzazione prevista dal decreto-legge n. 78/2009. A tal riguardo, non pare ostativo al rilevato profilo di incostituzionalita' il fatto che la sentenza n. 172/2012, riferendosi alle ipotesi di emersione dal lavoro irregolare, evidenzi essa stessa una diversita' di situazioni, legittimante una diversita' di discipline giuridiche. Infatti, non paiono diverse le condizioni di chi si trovi (rectius: si sia trovato) in Italia come lavoratore irregolare e di chi vi si trovi sulla base di precedenti atti autorizzatori regolarmente rilasciati; quest'ultimo, sotto un profilo razionale, meriterebbe semmai maggior tutela rispetto al primo. 30. - A tale ultimo proposito, il collegio osserva che potrebbero verificarsi ipotesi, di non inverosimile accadimento, in cui il cittadino extracomunitario, appena «emerso» nell'ambito della procedura di regolarizzazione in virtu' della non autosufficienza della sentenza penale di condanna, si trovi, poi, ad essere allontanato dal territorio nazionale, in sede di rinnovo del gia' rilasciato permesso di soggiorno, in forza dell'autosufficienza della medesima condanna. 31. - Per le ragioni dianzi esposte, questo tribunale solleva la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fanno derivare automaticamente il rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno del cittadino extracomunitario dalla pronuncia, nei suoi confronti, di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l'art. 381 del codice di procedura penale prevede l'arresto facoltativo in flagranza, senza consentire che la pubblica amministrazione provveda ad accertare, in concreto, che il medesimo rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Il presente giudizio va quindi sospeso in attesa della decisione della Corte costituzionale; ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e in ordine alle spese del giudizio riservata alla decisione definitiva.