IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DI TRENTO 
 
 
                           (Sezione Unica) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 136 del 2013, proposto da:  M.E.,  rappresentato  e
difeso dall'avv. Filippo Fedrizzi, con domicilio eletto presso il suo
studio in Trento, via Roggia Grande n. 16; 
    Contro il questore di Trento, rappresentato e  difeso  per  legge
dall'Avvocatura distrettuale  dello  Stato,  domiciliata  in  Trento,
largo Porta Nuova n. 9; 
    Per l'annullamento del decreto del questore  della  provincia  di
Trento cat. A.11.2013/50/IMM. di data 10 aprile  2013  con  il  quale
veniva rigettata l'istanza di rinnovo del permesso di  soggiorno  per
motivi di lavoro autonomo con la  seguente  motivazione  «Considerato
che in data 4 dicembre 2012 il tribunale di Trento ha emesso sentenza
di condanna in violazione della legge sugli stupefacenti», nonche' di
tutti  gli  atti  antecedenti,  conseguenti  e  comunque  logicamente
connessi al detto provvedimento. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di questore del Trento; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  13  febbraio  2014  il
pres. Armando Pozzi e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale; 
    A] Avverso il provvedimento di diniego del rinnovo  del  permesso
di soggiorno per motivi di lavoro autonomo il ricorrente, premesso di
trovarsi in Italia da anni con la sua famiglia e di essere  stato  in
possesso del permesso di soggiorno per motivi di famiglia scaduto  il
16 dicembre 2012, deduce i seguenti motivi: 
    1) Carenza di motivazione in  punto  «applicazione  analogica  al
caso di specie dei principi di cui alla sentenza n. 172 del 2  luglio
2012 della Corte costituzionale». 
    Il ricorrente e' stato condannato a seguito di patteggiamento per
non grave delitto di cui al comma V  dell'art.  73  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, quindi per un reato che  non
apparteneva al novera dei reati di cui all'art.  380  del  codice  di
procedura penale (per quali e'  previsto  l'arresto  obbligatorio  in
flagranza). 
    L'amministrazione avrebbe dovuto, dunque,  applicare  i  principi
stabiliti dalla Corte costituzionale,  con  sentenza  n.  172  del  2
luglio  2012,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c) del  decreto-legge  n.  78/2009
(introdotto dalla legge di conversione n. 102/2009), nella  parte  in
cui  faceva  derivare  automaticamente  il  rigetto  dell'istanza  di
regolarizzazione del lavoratore extra comunitario dalla pronuncia  di
una sentenza di condanna per uno dei reati (com'e' quello relativo al
ricorrente) meno gravi, come ad esempio quelli di  cui  all'art.  381
del codice di procedura penale, ai quali pure il nostro appartiene. 
    2) Violazione dell'art. 5, comma 5  del  decreto  legislativo  n.
286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002. Eccesso di  potere
per erroneita' dei presupposti, per assoluta carenza  o,  quantomeno,
insufficienza della motivazione. Difetto di istruttoria. 
    Anche  a  volerne  ammettere   l'applicabilita',   il   principio
dell'automatismo vale con riferimento alla situazione dello straniero
quando sono «venuti  a  mancare  i  requisiti  per  l'ingresso  e  il
soggiorno nel territorio dello Stato», ma non vale con riferimento al
momento (successivo) in cui deve essere valutata la  sua  istanza  di
rinnovo, perche' qui e' la legge a  prevedere  espressamente  che  si
debbano prendere in considerazione gli eventuali «nuovi elementi  che
ne consentano il rilascio», ed in particolare i vincoli familiari, la
durata del soggiorno dell'interessato  sul  territorio  nazionale  e,
soprattutto, l'attivita'  commerciale  autonoma  intrapresa  dopo  la
sentenza di condanna. 
    Di qui, la denunciata violazione, da parte del  provvedimento  di
diniego della questura di Trento, dell'art. 5, comma  5  del  decreto
legislativo n. 286/1998 e dei profili di eccesso di  potere  indicati
in rubrica. 
    B] Si e' costituita in giudizio l'amministrazione per  contestare
la fondatezza del ricorso. 
    C] Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2014 la causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    1. - Come gia' esposto in  fatto,  il  diniego  del  permesso  di
soggiorno per motivi di lavoro autonomo e' fondato sulla  circostanza
della  condanna  penale  riportata  dal  ricorrente  per   violazione
dell'art. 73, comma 5, del testo unico sugli stupefacenti di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (in prosieguo
anche TUIMM). 
    Con il primo motivo di ricorso si lamenta la  mancata  estensione
in via analogica in sede  amministrativa,  al  caso  di  specie,  dei
principi enucleati, sulla specifica materia  in  esame,  dalla  Corte
costituzionale con  sentenza  n.  172/2012,  o,  in  subordine,  come
rilevato nella successiva memoria  depositata  in  data  11  novembre
2013, nella questione di legittimita' costituzionale, ex art. 3 Cost.
dell'art. 4, comma  3,  del  decreto  legislativo  n.  286/1998,  per
l'irragionevolmente identico  trattamento  «espulsivo»  applicato  da
tale norma sia agli stranieri condannati per reati  per  i  quali  e'
previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, sia a quelli condannati
per reati assai meno gravi, per i quali  l'arresto  in  flagranza  di
reato e' soltanto facoltativo. 
    2.  -  Il  collegio  non  ritiene  di  aderire  ad   un   recente
orientamento di alcuni giudici amministrativi  di  primo  grado,  che
hanno ritenuto di poter applicare «analogicamente» alle norme qui  in
esame gli  effetti  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
172/2012: per tutti, bastera' ricordare TAR Toscana n. 1979/2012; TAR
Lombardia - Brescia, n. 489/2013, n.  115/2013  e  n.  434/2012;  TAR
Lombardia - Milano, n. 2604/2012; TAR Marche n. 266/2013.  Si  tratta
di  orientamento  non  univoco  e  diffuso,  tale  da  poter   essere
considerato «diritto vivente»: ad esso, infatti, non  aderisce  altro
insegnamento di segno opposto: Cons. St., n. 2225/2013;  TAR  Umbria,
n. 350/2012. 
    3. - Il collegio rileva, infatti, che dalla sentenza della  Corte
e' derivata, con i soli effetti propri dell'art. 136  Cost.  e  della
prima parte dell'art. 27 della legge n. 87/1953, la  declaratoria  di
incostituzionalita'  dell'art.  1-ter,  comma  13,  lettera  c)   del
decreto-legge n. 78/2009, convertito, con modificazioni, nella  legge
n.   102/2009,   concernendo   dunque   il   solo    profilo    della
regolarizzazione lavorativa del cittadino extracomunitario che presta
attivita' lavorativa,  sia  pur  irregolare,  nel  mentre  non  viene
investita la normativa dettata dal legislatore in materia di  rinnovo
in via ordinaria del permesso  di  soggiorno,  oggetto  del  presente
giudizio. 
    Stante   la   diversita'   dei   contesti   normativi   in   cui,
rispettivamente, si e' mossa la sentenza della Corte n. 172 ed in cui
si colloca la presente vicenda, non appare,  dunque,  corretto,  alla
luce dell'art. 27 della legge n. 87/1953,  ritenere  la  possibilita'
del giudice di merito di ricorrere  all'interpretazione  estensiva  o
all'applicazione analogica di principi elaborati in sede dichiarativa
della illegittimita' di una specifica norma, al fine di incidere,  in
tal maniera, su una  disposizione  del  TUIMM  n.  286/1998,  la  cui
vigenza e' tutt'ora sussistente in termini tali da  regolare  in  via
esclusiva, allo stato, la fattispecie qui in esame. 
    La ricordata sentenza  n.  172  -  come  essa  stessa  ha  voluto
rimarcare - si riferisce ad una legislazione emergenziale (art. 1-ter
del  decreto-legge  n.   78/2009)   riferita   ai   «soli   stranieri
extracomunitari  i  quali  da  un  tempo  ritenuto  dal   legislatore
apprezzabile svolgevano, sia pure in una situazione di irregolarita',
attivita'  di  assistenza  in  favore  del  datore  di  lavoro  o  di
componenti della famiglia del  predetto,  ancorche'  non  conviventi,
affetti da patologie o disabilita' che ne limitano l'autosufficienza,
ovvero  attivita'  di  lavoro  domestico  di  sostegno   al   bisogno
familiare». Si tratta di legislazione particolare per occasio,  ratio
e destinatari, che  non  ne  consente  l'assimilabilita'  tout  court
all'art. 5, comma 5 del TUIMM. 
    Il decreto-legge del 2009 - ha  rilevato  la  Corte  -  e'  stato
emanato in favore di quanti sono affetti da patologie  o  disabilita'
che  ne  limitano  l'autosufficienza,  in  relazione  ai   quali   il
meccanismo  dell'automatismo  espulsivo  di  chi  presta   assistenza
«rischia di pregiudicare irragionevolmente gli  interessi  di  questi
ultimi», essendo notorio il legame  peculiare  e  forte  con  chi  ha
bisogno di assistenza costante e chi la presta; legame  che,  quindi,
puo'  essere  leso  da  un  diniego  disposto  in  difetto  di   ogni
valutazione   in   ordine   alla   effettiva   imprescindibilita'   e
proporzionalita' dello  stesso  rispetto  all'esigenza  di  garantire
l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (cfr. punto  7,2.  della
motivazione). 
    4. - D'altra parte, il contrasto  fra  gli  opposti  orientamenti
giurisprudenziali    espressi     dai     giudici     amministrativi,
rispettivamente a favore e contro il ricorso all'analogia sul profilo
in questione, rappresenta  ulteriore  elemento,  quanto  meno,  della
«problematicita'» di detta operazione logico-giuridica. 
    5. - Vale, altresi', valorizzare la circostanza - ai  fini  della
rilevanza dei profili di costituzionalita' del TUIMM in parte  qua  -
la affermazione, peraltro solo accennata nelle premesse  del  decreto
del questore di Trento, per cui  si  denoterebbe,  nel  comportamento
assunto dal ricorrente, la mancanza  di  rispetto  delle  regole  del
paese ospitante. Si  tratta  di  affermazione  non  denotante  alcuna
autonoma valutazione sulla pericolosita' del ricorrente, non solo per
la sua genericita', quanto perche' l'autorita' di pubblica  sicurezza
avrebbe comunque tratto un'ipotetica «valutazione» autonoma,  in  via
del tutto apodittica ed esclusiva, dal  lapidario  riscontro  di  una
sentenza di condanna penale, senza alcun esame di  eventuali  profili
diversi dalla commissione del reato, autonomamente  rivelatori  della
pericolosita', o meno, del  ricorrente:  personalita'  del  soggetto,
circostanze, modalita' e gravita' del fatto contestato,  esistenza  o
meno di rilevanti precedenti, ecc. 
    6. - In conclusione, nel caso di specie, la condanna inflitta  al
ricorrente dal  giudice  penale  risulta  preclusiva  ai  fini  della
concessione del rinnovo del  permesso  di  soggiorno,  pur  dovendosi
ricondurre la stessa condanna alle  meno  gravi  ipotesi  di  arresto
facoltativo di cui all'art. 381 e non a quelle piu' gravi di  arresto
obbligatorio, di cui all'art. 380 del codice di procedura penale. 
    Detta preclusione opera legislativamente in  maniera  automatica,
come prevedono gli articoli 4, comma 3, e 5,  comma  5,  del  decreto
legislativo n. 286/1998, in quanto derivante da condanna  «per  reati
inerenti gli stupefacenti», senza che  residuino  margini  valutativi
discrezionali in capo alla pubblica amministrazione. 
    7. -  In  conseguenza  di  quanto  precede  il  ricorso  andrebbe
respinto, rivelandosi infondato anche il secondo motivo, con il quale
si e' lamentata la mancata considerazione di nuovi elementi  ostativi
al diniego di rilascio o rinnovo, cui fa  riferimento  l'art.  5  del
TUIMM. 
    Anzitutto, e' da escludere, nel caso di specie, la rilevanza e la
significativita' degli  asseriti  legami  personali  evidenziati  dal
ricorrente che, in  assenza  di  un  dimostrato  e  stabile  rapporto
affettivo ed in assenza di figli, non puo'  avvalersi  della  «tutela
rafforzata» di cui alla seconda  parte  dell'art.  5,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 286/1998. 
    Su tale tematica la stessa Corte costituzionale ha osservato  che
la situazione familiare rilevante per lo straniero ai fini della  sua
permanenza  in  Italia  e'  quella  riferita  alla  durata  del   suo
matrimonio ed altri fattori che  testimonino  l'effettivita'  di  una
vita familiare in seno  alla  coppia;  la  situazione  familiare  e',
dunque, quella ricavata da una definizione ristretta di famiglia, non
dissimile da quella concepita nella nostra Costituzione (C, cost.  18
luglio 2013, n. 202). 
    8. - Quanto  al  profilo,  dedotto  sempre  nel  secondo  motivo,
dell'intervenuta attivita' commerciale intrapresa dal ricorrente,  va
osservato che il reperimento di un'occupazione lavorativa  non  possa
costituire quei sopravvenire di «nuovi elementi», come  astrattamente
previsti  nella  prima  parte  dell'art.  5,  comma  5,  del  decreto
legislativo n. 286/1998, idonei a cancellare di per se'  gli  effetti
della riportata  sentenza  penale  di  condanna,  proprio  perche'  a
quest'ultima, nell'attuale sistema legislativo  vigente  in  tema  di
immigrazione,  consegue  direttamente  l'automatico   diniego   della
domanda di rinnovo del permesso di soggiorno. 
    9.  -  A  questo  punto,  si  rivela  pregnante  il  profilo   di
incostituzionalita' prospettato con ricorso e sviluppato in memoria. 
    Ove  tale  profilo  fosse  accolto,  infatti,  verrebbe  meno  il
meccanismo di automaticita' tra condanna  e  diniego  di  rilascio  o
rinnovo, in  base  al  quale  l'amministrazione  ha  adottato  l'atto
impugnato. 
    10.   -   Assume,   pertanto,   rilevanza   la    questione    di
costituzionalita' degli articoli 4,  comma  3,  e  5,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 286/1998, con riferimento  all'art.  3  Cost.,
nella  parte   in   cui   le   predette   disposizioni   riconnettono
automaticamente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno  alla
condanna penale (compresa quella adottata ex art. 444 del  codice  di
procedura  penale)  anche  per  categorie  reati   (quelli   previsti
dall'art. 4, comma 3 cit. in aggiunta a quelli di  cui  all'art.  380
del codice di procedura penale) di  minore  gravita',  per  i  quali,
infatti, e' previsto l'arresto facoltativo in flagranza, ex art.  381
del codice di procedura penale. 
    La  violazione  del  parametro  costituzionale   di   uguaglianza
consisterebbe nell'equiparazione, per i pari effetti  in  senso  lato
«espulsivi», delle sentenze di condanna per reati rientranti,  quanto
a  pena  edittale  prevista  dal  codice  sostanziale  e  conseguente
facolta' di  arresto  in  flagranza,  nell'art.  381  del  codice  di
procedura penale, comma 1 (reclusione superiore  nel  massimo  a  tre
anni ovvero reclusione non inferiore nel massimo a cinque  anni,  per
delitto colposo), con quelle riportate per reati piu' gravi,  in  cui
l'arresto in flagranza e' previsto  come  obbligatorio  ex  art.  380
stesso   codice,   senza   al   contempo   imporre   alla    pubblica
amministrazione l'obbligo di  valutare  in  concreto,  con  adeguata,
esaustiva e convincente motivazione,  la  pericolosita'  sociale  del
cittadino  extracomunitario,  con  riguardo  ad  una  sua  condizione
complessiva, che non si esaurisca direttamente nel  dato  penale,  ma
innesti quest'ultimo su altre circostanze «compensative»: il reale  e
documentato ravvedimento, l'esistenza di un coniuge  e  della  prole,
l'inserimento nella vita economica e sociale,  l'apprezzamento  della
collettivita' di inserimento, ecc. 
    11. - I rilevati profili di irrazionale disparita' di trattamento
emergono dalle  stesse  circostanze  del  caso  concreto,  il  quale,
oltretutto, lungi dal costituire una fattispecie del tutto  singolare
ed isolata, e' rappresentativo di una problematica estesa ad una  non
esigua casistica, traducendosi, dunque, in un  effettivo  profilo  di
giustizia sostanziale e sociale. 
    12. - Va, infatti, osservato che nella specie il  giudice  penale
ha pronunciato la sentenza di condanna per  violazione  dell'art.  73
del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (testo  unico
sugli stupefacenti e sostanze  psicotrope),  applicando  il  comma  5
della  stessa  norma,  come   riconosciuto   dalla   stessa   memoria
dell'avvocatura erariale depositata il 15 gennaio 2014. 
    Va rammentato, al riguardo,  che  il  primo  comma  dell'art.  73
citato punisce, con giusta durezza, la produzione, il traffico  e  la
detenzione  di  sostanze  stupefacenti,  prevedendo  la  pena   della
reclusione da sei a venti anni e la multa  da  euro  26.000  ad  euro
260.000. 
    Il quinto comma, a sua volta, stabilisce che, quando per i mezzi,
per la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la  qualita'
e quantita' delle sostanze, i fatti previsti  dal  medesimo  articolo
sono di lieve entita', si applicano le pene della reclusione da uno a
sei anni e della multa da euro 3.000 ad euro 6.000. 
    13. - Va ulteriormente osservato che  la  disposizione  di  minor
rigore sopra richiamata non  costituisce  un  mero  «indice»  per  la
eventuale concessione delle attenuanti generiche, ma  stabilisce,  in
misura significativamente inferiore, nel minimo e  nel  massimo,  una
distinta ed autonoma pena edittale. 
    14.  -  Il  divario  sopra  evidenziato  -  con  la   conseguente
diversita' di giudizi di disvalore sociale - tra distinte ipotesi  di
reato  pur  astrattamente  riconducibili  al  medesimo  interesse  da
tutelare (contrasto all'uso e  diffusione  di  stupefacenti)  risulta
peraltro confermato con il  recentissimo  decreto-legge  23  dicembre
2013,  n.  146  («Misure  urgenti  in  tema  di  tutela  dei  diritti
fondamentali  dei  detenuti  e   di   riduzione   controllata   della
popolazione carceraria»). 
    Con  tale  intervento  d'urgenza,  stabilizzato  con   legge   di
conversione 21 febbraio 2014, n. 10,  il  legislatore  e'  nuovamente
intervenuto,  con   l'art.   2,   nella   disciplina   penale   degli
stupefacenti, modificando il sopra citato comma 5  dell'art.  73  del
decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/1990  e  stabilendo,
nelle ipotesi di lieve entita', una nuova, inferiore  previsione  del
massimo della pena edittale (5 anni), talche' detta disposizione pare
accentuare il «distacco» legislativo (gia'  visibilmente  sussistente
in  precedenza)  rispetto  alle  ipotesi  in  cui,  diversamente,  la
reazione penale permane in termini  ben  piu'  gravi  (pena  edittale
minima pari a sei anni). 
    Distacco, che lo stesso legislatore penale evidenzia laddove, tra
i reati comportanti l'arresto  obbligatorio  in  flagranza,  annovera
espressamente  i  delitti   concernenti   sostanze   stupefacenti   o
psicotrope puniti dall'art. 73 del testo unico n. 309, «salvo che per
i delitti di cui al comma 5 del medesimo  articolo»  (secondo  comma,
lettera h), art. 380 del codice di procedura penale). 
    15. - Non pare superfluo ricordare,  ancora,  che  la  disciplina
penale  sugli  stupefacenti  ha  subito   un   ulteriore   intervento
divaricatore  per  effetto  della  recente   sentenza   della   Corte
costituzionale 12 febbraio 2014, n. 32, con la quale -  dichiarandosi
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies  ter,
del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272,  che  aveva  tra  l'altro
novellato l'art. 73 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990 - e' stata abrogata la parificazione dei delitti riguardanti
le droghe cosiddette «pesanti» e  di  quelli  aventi  ad  oggetto  le
droghe cosiddette «leggere»,  fattispecie  che  invece  erano  tenute
differenziate dalla precedente disciplina. 
    E' pur  vero  che  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'  ha
riguardato la disomogeneita' tra testo  del  decreto  ed  emendamenti
apportati  in  sede  di  conversione:  quindi  un  aspetto   formale,
attinente solo il procedimento di formazione delle leggi. 
    Tuttavia, la Corte non ha mancato  di  rimarcare  come  una  tale
penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura
politica, giuridica e  scientifica,  avrebbe  richiesto  un  adeguato
dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie
procedure di formazione della legge, ex  art.  72  Cost.,  invece  di
quelle semplificate ed accelerate dell'art. 77. 
    Cio' sta ad evidenziare, sotto ulteriore profilo, la complessita'
e disomogeneita'  della  materia  stupefacenti,  tendenzialmente  non
tollerante un  unico,  preconcetto  ed  indifferenziato  giudizio  di
disvalore per tutti i fatti e sostanze rientranti in quella materia. 
    16. - Per quanto attiene il caso di specie, il GUP di Trento, con
sentenza n. 860/2012,  ha  riconosciuto  la  sussistenza  del  «fatto
lieve», oltre ad applicare le circostanze  attenuanti  e  a  valutare
positivamente  la  sussistenza  dei  requisiti   richiesti   per   la
concessione del beneficio della sospensione condizionale della  pena,
in  relazione  alla  rilevata  «minima   offensivita'»   del   reato,
deducibile  dai  dati  qualitativi  e  quantitativi  e  dagli   altri
parametri di valutazione  dell'acquisto  e  smercio  di  hashish  (v.
«motivazione» sentenza citata). 
    17. - Cio' posto, passando  alla  disamina  della  normativa  che
regola il diniego del  rilascio,  o  del  rinnovo,  del  permesso  di
soggiorno dei cittadini  extracomunitari,  va  rilevato  che  nessuna
differenziazione viene operata dal legislatore, in materia  di  reati
inerenti  gli  stupefacenti,  fra  le  sentenze  di  condanna  penale
pronunciate in forza dell'art.  73,  primo  comma,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, e quelle inflitte «per fatti
di lieve entita'» in  applicazione  del  quinto  comma  della  stessa
norma. 
    Di conseguenza, neppure e' posta, dalla norma, alcuna distinzione
fra i reati che rendono obbligatorio l'arresto in flagranza (art. 380
del codice di procedura penale) e quelli che  ne  ammettono  la  mera
facoltativita', in presenza dei previsti presupposti (art. 381 stesso
codice di rito). 
    Infatti, la disciplina legislativa inerente al diniego di rinnovo
del permesso di soggiorno  risulta  indifferenziatamente  riferita  a
categorie di reato come delineate, e spesso appena  «abbozzate»  (nel
caso di specie: «reati inerenti  gli  stupefacenti»),  nella  seconda
parte del comma 3 dell'art. 4 del TUIMM n. 286/1998, con  contestuale
ed  automatico  collegamento  indistinto,  alle   stesse   categorie,
dell'identico effetto espulsivo del cittadino extracomunitario. 
    18. - D'altra parte, la disciplina sul diniego  del  permesso  di
soggiorno (art. 4, comma 3, del testo unico sull'immigrazione citato)
richiama  in  maniera  vincolante  le  categorie  e  le   definizioni
giuridiche prefissate dal legislatore  penale,  le  quali,  pertanto,
assumono  il  carattere  di  presupposto   indispensabile   ai   fini
dell'applicazione e dell'interpretazione della disciplina «espulsiva»
prevista dal decreto legislativo n. 286/1998. 
    Allora, e' proprio questo legame  indissolubile  che  lega  norma
penale e norma  amministrativa  a  rendere  quest'ultima  intimamente
incoerente ed irrazionale. 
    19. - In effetti, il testo unico sull'immigrazione assoggetta  ad
una unitaria ed indistinta disciplina  «espulsiva»  figure  di  reato
oggettivamente    e    soggettivamente    diverse,    caratterizzate,
internamente, da una  ben  differente  qualificazione  e  graduazione
giuridica, da ritenersi, a propria volta, non casuale ma riflesso  di
una  ponderata  scelta  legislativa  inerente  la  valutazione  della
distinta gravita' dei fatti e della pericolosita'  sociale  del  loro
autore. 
    20.  -  Non  puo',  pertanto,  non  cogliersi,   dalla   predetta
correlazione tra ordinamento penale ed amministrativo, una  stridente
contraddizione all'interno del secondo; contraddizione a scalzare  la
quale non pare al collegio sufficiente invocare le diverse  finalita'
perseguite  dal  legislatore  penale  e  da  quello   amministrativo,
sembrando preminente, viceversa,  assicurare  un  complessivo  quadro
normativo armonico e non disomogeneo, ispirato  ai  principi  di  non
contraddittorieta', coerenza, ragionevolezza e congruita'. 
    21. - Peraltro, in tale ambito, il  richiamo  alle  norme  penali
contenuto nel testo unico sull'immigrazione, non pare  neppure  poter
prescindere dal «diritto vivente», creato dal giudice  attraverso  la
concreta applicazione delle norme penali, sostanziali e  processuali,
alle singole fattispecie concrete. 
    In particolare, va rilevato che se tale diritto vivente  pone  su
una scala di  disvalori  ben  differenziati  le  diverse  ipotesi  di
violazione   delle   disposizioni    sugli    stupefacenti,    appare
contraddittorio che la normativa sull'immigrazione debba prescinderne
del tutto  attraverso  il  criterio  dell'automatismo  espulsivo;  al
contempo, appare altresi' illogico e discriminatorio che la  pubblica
amministrazione, chiamata a valutare e delibare l'istanza di rilascio
o rinnovo del permesso di soggiorno, non possa a propria volta  tener
conto  di  quella  stessa  e  graduata  scala  di  valori   (rectius:
disvalori) di riferimento. 
    22. - Viene dunque in evidenza, ai fini  dell'odierna  rimessione
alla Corte, la comparazione delle norme legislative vigenti  in  tema
di permesso di soggiorno con l'art. 3 del  dettato  costituzionale  e
dell'inerente principio di uguaglianza e ragionevolezza. 
    23. - In materia di  immigrazione  ed  in  relazione  all'art.  3
Cost., la Corte ha rammentato che la regolamentazione dell'ingresso e
del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale  e'  collegata
alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad  esempio,
la sicurezza e la sanita' pubblica, l'ordine pubblico, i  vincoli  di
carattere  internazionale  e  la  politica  nazionale  in   tema   di
immigrazione. Tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore
ordinario, il quale possiede, in materia, un'ampia  discrezionalita',
limitata, sotto il profilo della conformita' a Costituzione, soltanto
dal  vincolo  che  le  sue  scelte   non   risultino   manifestamente
irragionevoli (sentenze 16 maggio 2008, n.  148;  n.  206/2006  e  n.
62/1994). 
    24. - Non difforme appare l'insegnamento proveniente dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo, la quale ha precisato, nell'ambito del
bilanciamento  tra  sicurezza/ordine   pubblico   e   diritti   dello
straniero,  che  l'ingerenza  dello  Stato  deve  non  solo  avere  a
riferimento una base legale ed uno scopo legittimo, ma  anche  essere
necessaria in una societa' democratica, vale a dire  giustificata  da
un bisogno sociale imperativo e dalla proporzionalita' rispetto  allo
scopo perseguito (Dalla c. Francia, sentenza 19 febbraio 1998; Maslov
c. Austria, sentenza 23 giugno 2008). 
    25.  -  Peraltro,  e'  stato  pure  affermato  che  l'automatismo
espulsivo,   riflesso   della   pur   riconosciuta   discrezionalita'
legislativa, e' destinato ad incontrare i limiti segnati dai precetti
costituzionali e, per essere in armonia con l'art. 3  Cost.,  occorre
che esso sia conforme a criteri di intrinseca  ragionevolezza  (Corte
cost., n. 206/2006 e n. 62/1994). 
    26. - E' derivata, quale coronario, l'affermazione del  principio
secondo cui  le  presunzioni  assolute,  specie  quando  limitano  un
diritto  fondamentale  della  persona,  violano   il   principio   di
uguaglianza, se sono irragionevoli e percio' arbitrarie, cioe' se non
rispondono a dati di  esperienza  generali  riassunti  nella  formula
dell'id  quod  plerumque  accidit;   la   presunzione   assoluta   e'
irragionevole tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi  di
accadimenti reali diffusi, contrari  alla  generalizzazione  posta  a
base della presunzione (Corte cost., n. 231  e  164/2011;  n.  265  e
139/2010). 
    27. - Il  collegio,  certo,  non  ignora  che,  con  sentenza  n.
148/2008  (peraltro  gia'  sopra  richiamata),  la  stessa  Corte  ha
dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
delle disposizioni del TUIMM in esame, in  relazione  al  diniego  al
rinnovo del permesso, operato dall'amministrazione nei  confronti  di
un cittadino extracomunitario che risultava  condannato,  sia  pur  a
seguito di patteggiamento e con sospensione condizionale della  pena,
per un reato in materia di stupefacenti ex  art.  73,  comma  5,  del
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990,  benche'  non
risultasse  operata,  in  concreto,  alcuna  valutazione   circa   la
pericolosita' del condannato. 
    Tuttavia, preme  rilevare  che,  successivamente,  e'  venuta  ad
affermarsi, in generale, l'esigenza di una tutela «rafforzata»  dello
«statuto» del soggetto  extracomunitario  (sentenza  n.  202  del  18
luglio 2013). Con la stessa pronuncia, al contempo, si e'  provveduto
ad un  ulteriore  e  significativo  approfondimento  in  ordine  alla
valenza  delle  presunzioni  assolute  e  generalizzate  fissate  dal
legislatore in tema di pericolosita',  delimitando  e  contenendo  il
predetto automatismo in termini di ragionevolezza  costituzionale,  e
coordinando  le  norme  dettate  dal  legislatore   in   materia   di
immigrazione con l'inquadramento e le differenziazioni stabilite  dal
legislatore in materia penale. 
    E' dunque nel solco di tale linea evolutiva  che  si  colloca  la
ricordata sentenza n. 172  del  6  luglio  2012,  con  cui  la  Corte
costituzionale ha dichiarato, sempre in riferimento  all'art.  3,  la
illegittimita'  dell'art.  1-ter,   comma   13,   lettera   c),   del
decreto-legge 1° luglio  2009,  n.  78,  introdotto  dalla  legge  di
conversione 3 agosto  2009,  n.  102,  il  quale  disponeva  che  non
potessero essere ammessi alla  procedura  di  emersione  da  rapporti
irregolari,   prevista   da   detta   disposizione,   i    lavoratori
extracomunitari che risultavano condannati per uno dei reati previsti
dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale. 
    La Corte, comparando  detta  disposizione  con  il  principio  di
uguaglianza  fissato  nell'art.  3,   e'   pervenuta   ad   affermare
l'irragionevolezza della norma, in quanto il  diniego  conseguiva  in
via diretta e necessaria dalla pronuncia di una sentenza di  condanna
anche per uno dei reati di cui all'art. 381 del codice  di  procedura
penale,  nonostante   questi   ultimi   non   siano   necessariamente
sintomatici della pericolosita' di colui che li  ha  commessi,  senza
prevedere che la pubblica amministrazione provvedesse ad accertare in
concreto - e nel rispetto  dei  canoni  di  legittimita'  dell'azione
amministrativa - che la persona rappresenti una minaccia per l'ordine
pubblico e la sicurezza dello Stato. 
    In tale ambito, la  Corte  ha  significativamente  rilevato  che,
essendo possibile procedere per detti reati all'arresto in  flagranza
soltanto   se   la   misura   e'    giustificata    dalla    gravita'
dell'accadimento, ovvero dalla  pericolosita'  del  soggetto  desunta
dalla sua personalita' o dalle circostanze del fatto (art. 381, comma
4, del codice di procedura penale), e' gia' l'applicabilita' di detta
misura ad essere subordinata ad una specifica valutazione di elementi
ulteriori rispetto  a  quelli  consistenti  nella  mera  prova  della
commissione del fatto. 
    28. - Il collegio rileva che detti principi, ferma  -  come  gia'
detto - la non applicabilita' degli  stessi  in  via  analogica  alle
diverse disposizioni del TUIMM qui in esame e,  dunque,  al  caso  di
specie, evidenzia, in termini di non manifesta infondatezza,  profili
di illegittimita'  costituzionale  anche  delle  norme  di  cui  agli
articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25  luglio
1998,  n.  286,  nella  parte   in   cui,   anch'esse,   riconnettono
automaticamente alla condanna penale, riportata  per  uno  dei  reati
rientranti nelle previsioni dell'art. 381  del  codice  di  procedura
penale, il diniego di rinnovo del pregresso  permesso  di  soggiorno,
senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare
che  il  cittadino  extracomunitario  rappresenti  una  minaccia  per
l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 
    Pare evidente, infatti, che i principi stabiliti  nella  predetta
sentenza n. 172/  2012  appaiono  riferibili  anche  alle  norme  che
regolano il rinnovo del permesso di soggiorno,  nella  parte  in  cui
queste prevedono il diniego automatico in mera presenza  di  condanne
penali riportate  dal  cittadino  extracomunitario  anche  per  reati
esclusi dal novero di quelli per i quali  (art.  380  del  codice  di
procedura penale) il legislatore prescrive l'arresto obbligatorio. 
    29. - I riportati  principi  sono  calzanti  anche  per  i  reati
concernenti le sostanze stupefacenti. Anche detta  materia,  infatti,
e'  espressamente  assoggettata  alla  differenziazione  fissata  dal
legislatore penale negli articoli 380 e 381 del codice  di  procedura
penale, e cio', anche in forza  di  una  specifica  disposizione  del
TUIMM (art. 73, comma 5 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 309/1990). 
    Peraltro, la riferibilita'  dei  principi  fissati  nella  citata
sentenza della Corte alle pur diverse norme  qui  considerate,  trova
ulteriore conferma nel rilievo, secondo cui il rinnovo  del  permesso
di soggiorno e' destinato a trovare applicazione nei confronti di  un
cittadino   extracomunitario   gia'   legittimamente   presente   nel
territorio nazionale  anche  da  un  non  esiguo  periodo  di  tempo,
similmente, dunque, alla condizione in cui detto cittadino  si  trovi
all'atto della richiesta di emersione e regolarizzazione prevista dal
decreto-legge n. 78/2009. 
    A  tal  riguardo,  non  pare  ostativo  al  rilevato  profilo  di
incostituzionalita' il fatto che la sentenza n. 172/2012, riferendosi
alle ipotesi di emersione dal lavoro irregolare, evidenzi essa stessa
una  diversita'  di  situazioni,  legittimante  una   diversita'   di
discipline giuridiche. Infatti, non paiono diverse le  condizioni  di
chi si trovi (rectius: si sia  trovato)  in  Italia  come  lavoratore
irregolare e di chi  vi  si  trovi  sulla  base  di  precedenti  atti
autorizzatori regolarmente rilasciati; quest'ultimo, sotto un profilo
razionale, meriterebbe semmai maggior tutela rispetto al primo. 
    30. - A tale ultimo proposito, il collegio osserva che potrebbero
verificarsi ipotesi, di  non  inverosimile  accadimento,  in  cui  il
cittadino  extracomunitario,  appena   «emerso»   nell'ambito   della
procedura di regolarizzazione in  virtu'  della  non  autosufficienza
della  sentenza  penale  di  condanna,  si  trovi,  poi,  ad   essere
allontanato dal territorio nazionale, in sede  di  rinnovo  del  gia'
rilasciato permesso di soggiorno, in forza dell'autosufficienza della
medesima condanna. 
    31. - Per le ragioni dianzi esposte, questo tribunale solleva  la
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 3, e
5, comma 5, del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,  in
relazione all'art. 3 della Costituzione, nella  parte  in  cui  fanno
derivare automaticamente  il  rigetto  dell'istanza  di  rinnovo  del
permesso di soggiorno del cittadino extracomunitario dalla pronuncia,
nei suoi confronti, di una sentenza di condanna per uno dei reati per
i quali l'art. 381 del codice di procedura penale  prevede  l'arresto
facoltativo  in  flagranza,  senza   consentire   che   la   pubblica
amministrazione provveda ad accertare, in concreto, che  il  medesimo
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la  sicurezza  dello
Stato. 
    Il presente giudizio va quindi sospeso in attesa della  decisione
della Corte costituzionale; ogni ulteriore statuizione in  rito,  nel
merito e in ordine alle spese del giudizio riservata  alla  decisione
definitiva.